Il passaggio epocale dalla Direttiva NFRD (2014/95/UE) alla Direttiva CSRD (2022/2464/UE) inaugura una nuova era per la rendicontazione delle informazioni di sostenibilità a livello europeo, caratterizzata da maggiore strutturazione e vincolatività. Laddove la NFRD concedeva agli Stati membri un’ampia discrezionalità in merito all’obbligatorietà della verifica delle dichiarazioni non finanziarie – spesso soggette a controlli limitati o assenti – la CSRD introduce un imperativo categorico di assurance esterna. In una fase iniziale, tale obbligo si configura come limited assurance, con l’ambiziosa prospettiva di evolvere verso una reasonable assurance, in armoniosa coerenza con la revisione legale dei bilanci.
Un elemento di profonda discontinuità risiede nell’introduzione degli European Sustainability Reporting Standards (ESRS), meticolosamente elaborati dall’European Financial Reporting Advisory Group (EFRAG) e adottati dalla Commissione Europea. Contrariamente al passato, i revisori non si limiteranno più a scrutinare la coerenza delle informazioni di sostenibilità con la documentazione aziendale, ma saranno investiti del compito di valutarne la conformità rispetto a criteri tecnici condivisi, assicurando l’affidabilità, la tracciabilità e la verificabilità intrinseca dei dati. Questo mutamento sostanziale eleva la qualità del reporting ESG e contribuisce alla genesi di un linguaggio comune tra imprese, investitori e stakeholder.
La CSRD interviene altresì sul piano dei soggetti abilitati alla revisione. Mentre la precedente normativa consentiva approcci eterogenei tra i diversi ordinamenti nazionali, la CSRD sancisce che l’attestazione possa essere rilasciata esclusivamente da revisori legali o da organismi accreditati secondo le normative di ciascun Paese, rafforzando in tal modo la certezza giuridica e l’eccellenza dei controlli. Inoltre, l’ambito della revisione trascende la mera descrizione degli impatti ambientali e sociali, estendendosi alla valutazione dei processi di due diligence ESG adottati dall’impresa, promuovendo un’integrazione sempre più profonda tra sostenibilità e governance aziendale.
Tuttavia, il panorama normativo è in continua metamorfosi, e le recenti proposte confluite nel cosiddetto Pacchetto Omnibus introducono significative novità. In primis, l’obbligatorietà della reasonable assurance è stata temporaneamente accantonata dal testo della CSRD: la Commissione Europea si riserva di valutarne l’adozione entro ottobre 2028, differendo così una decisione definitiva. Parallelamente, è stato disposto un posticipo biennale degli obblighi di rendicontazione per le imprese con oltre 500 dipendenti non classificate come enti di interesse pubblico (EIP), una misura che inevitabilmente trascina con sé uno slittamento dell’obbligo di assurance per queste realtà aziendali. Tale differimento, se da un lato diluisce nel tempo il carico operativo, dall’altro offre un’opportunità propizia per consolidare le metodologie di revisione e affinare gli strumenti di assurance prima della loro applicazione su vasta scala.
Un ulteriore elemento di rilievo riguarda la considerevole contrazione del perimetro delle imprese soggette alla CSRD. L’esclusione di circa l’80% delle aziende precedentemente incluse nella rendicontazione obbligatoria determina una sensibile riduzione del numero di soggetti tenuti alla revisione della sostenibilità, con ripercussioni dirette sul mercato dell’assurance ESG. Questa scelta, pur mirando a una semplificazione degli oneri per le imprese, potrebbe rallentare la diffusione di prassi di verifica standardizzate e compromettere la coerenza delle informazioni ESG lungo le catene del valore. Molte delle aziende escluse, infatti, continueranno a esercitare un impatto ambientale e sociale significativo, influenzando direttamente o indirettamente le performance di realtà soggette alla normativa.
Alla luce di tali evoluzioni, si renderà imprescindibile monitorare attentamente il divenire degli standard di assurance. L’introduzione di nuove esenzioni e l’attenuazione degli obblighi potrebbero indurre la Commissione Europea a riconsiderare l’architettura normativa, introducendo criteri di proporzionalità più marcati in funzione delle dimensioni aziendali e del livello di rischio ESG. In questo scenario dinamico, i revisori si troveranno ad affrontare sfide crescenti: da un lato, assicurare un controllo rigoroso e affidabile; dall’altro, adottare un approccio flessibile, capace di adattarsi alla complessità e all’eterogeneità del tessuto imprenditoriale europeo.
Le modifiche introdotte dal Pacchetto Omnibus riflettono la determinazione della Commissione Europea a semplificare e razionalizzare il quadro normativo, alleggerendo gli oneri burocratici e promuovendo una transizione graduale verso una sostenibilità intrinseca ai processi aziendali. Tuttavia, tali scelte implicano anche il potenziale rischio di rallentare la maturazione di un sistema di assurance solido, uniforme e ampiamente diffuso. In un contesto ancora in fase di assestamento, il ruolo del revisore acquisisce un’importanza strategica: egli sarà chiamato non solo a garantire la conformità normativa, ma anche a tutelare la qualità e la credibilità dell’intero ecosistema della rendicontazione di sostenibilità.
L’impatto sugli investimenti ESG
Nonostante le correnti anti-ESG che serpeggiano negli Stati Uniti, il mercato italiano dimostra una resiliente predilezione per gli investimenti sostenibili. L’orientamento strategico europeo, incarnato dall’EU Compass per la competitività, ribadisce l’intrinseca correlazione tra sostenibilità, concorrenza e innovazione. È altresì fondamentale sottolineare che, pur in presenza del Pacchetto Omnibus e della proposta di attenuazione degli obblighi di trasparenza e rendicontazione, il principio cardine della normativa europea – l’approccio della doppia materialità – rimane saldo, un unicum nel panorama internazionale, sempre più incline a focalizzarsi esclusivamente sulla gestione del rischio ESG, a discapito della considerazione dell’impatto delle imprese sull’ambiente e sulla società.
Il 2024 si è configurato come un anno di assestamento e riflessione per il mercato dei fondi sostenibili in Italia, profondamente influenzato dalle evoluzioni normative in atto. Tra le dinamiche preminenti, spiccano le nuove direttive sul naming dei fondi e l’attesa della revisione della SFDR, che hanno indotto gli operatori a privilegiare la stabilizzazione dell’offerta rispetto all’espansione della gamma di prodotti. In un contesto di mercato meno propizio rispetto agli anni precedenti, il settore ha attraversato una fase di consolidamento, con una rinnovata enfasi sulla qualità e sull’effettiva implementazione delle strategie di investimento sostenibile.
Dopo un periodo particolarmente dinamico e caratterizzato da una crescita impetuosa degli investimenti ESG, il 2024 si è distinto come un anno di transizione, in cui gli operatori hanno dovuto calibrare le proprie strategie in risposta alle mutate condizioni di mercato e normative, gettando le basi per un’evoluzione futura più strutturata e consapevole. Sul fronte dei flussi, la prima parte dell’anno ha risentito del clima generale di incertezza e di una certa prudenza nei confronti dei prodotti Articolo 8 e Articolo 9, che tuttavia hanno ripreso a registrare una raccolta positiva nella seconda metà dell’anno.”