A sei giorni dal 48mo anniversario della firma del Trattato che istituì la Comunità economica europea, il 25 marzo del 1957, lo scorso 19 marzo si è sviluppato un animato dibattito sulle dichiarazioni della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni in merito alla sua presa di distanza dall’Europa prefigurata nel Manifesto di Ventotene.
Il documento “Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto”, comunemente noto come “Manifesto di Ventotene”, venne scritto da Altiero Spinelli, espulso dal partito comunista, Ernesto Rossi, liberale, ed Eugenio Colorni, socialista, nel 1941, durante il periodo di confino presso l’isola di Ventotene, e fu diffuso fuori dell’isola con l’aiuto di Ursula Hirschmann, moglie di Colorni (poi divenuta moglie di Spinelli dopo l’assassinio di Colorni da parte dei fascisti a piazza Bologna a Roma), e dalla moglie di Ernesto Rossi, Ada Rossi.
La versione originaria del manifesto di Ventotene si articolava in quattro sezioni, variamente risistemate nel tempo da Spinelli, e si soffermava, da un lato, sui temi della lotta alla dominazione nazifascista e dell’assetto socio economico da perseguire dopo la guerra e, dall’altro, sull’esigenza di superare una concezione sacrale della nazione che aveva portato all’affermazione di varie forme di totalitarismo per pervenire ad un’unità europea su base federale, prospettiva quest’ultima che costituisce il valore più attuale di riferimento per il movimento federalista lanciato da Spinelli.
A seguito del dibattito svoltosi alla Camera lo scorso 19 marzo, sulle citate dichiarazioni del Presidente del Consiglio Meloni, si è ulteriormente accentuata la polarizzazione che caratterizza il dibattito politico italiano con la divisione tra quei filoni politici laici e di sinistra che, richiamandosi al Manifesto di Ventotene, sembrano ergersi come i soli depositari di una prospettiva federalista per l’Europa, e i sostenitori della posizione espressa dalla Presidente del Consiglio, uniti da una generale ostilità in cui vengono accumunati il Manifesto di Ventotene, la prospettiva federalista europea e, talora, le istituzioni attuali dell’UE.
In questo quadro sembrano dissolversi il ruolo dei cristiano popolari italiani nella costruzione europea e il loro rapporto col Manifesto di Ventotene.
In tale frangente può quindi costituire un utile elemento di chiarezza ricordare che già nel 1921 don Luigi Sturzo si era recato con il giovane De Gasperi a Colonia per incontrare il Sindaco Konrad Adenauer per parlare della formazione di un’Associazione internazionale dei democratici cristiani e del sogno dell’Europa unita e già nel 1929, dall’esilio, Don Sturzo scriveva: “Gli Stati Uniti d’Europa non sono un’utopia, ma soltanto un ideale a lunga scadenza, con varie tappe e con molta difficoltà.”
Del resto l’approccio europeistico di De Gasperi nasceva nell’alveo di una fertile produzione intellettuale nel mondo politico cattolico: già negli anni Trenta, Guido Gonella aveva pubblicato nell’Osservatore Romano articoli di stampo europeistico e internazionalistico; Piero Malvestiti e Gioacchino Malavasi, guidando il Movimento Guelfo d’Azione, nel 1941 avevano redatto un Manifesto programmatico in cui spiccava l’unità europea; nel Programma di Milano della Democrazia Cristiana, elaborato tra il ’42 e il ’43, al primo punto si chiedeva la creazione di una “Federazione degli Stati europei retti a sistema di libertà; Luigi Gui, nel 1944, sollecitava la costituzione di una Confederazione europea; a partire dallo stesso anno, il 1944, con diversi scritti Teresio Olivelli, Carlo Russo, Gavino Sabadin e Mariano Rumor evidenziavano i rischi della deificazione della nazione; Paolo Emilio Taviani, nelle sue Idee sulla Democrazia Cristiana, nel 1945, auspicava “il rinnovamento della suddivisione dei continenti in unità federative internazionali”; il federalista valdese Mario Alberto Rollier nel gennaio del ’44 pubblicava il volume Stati Uniti d’Europa, redatto sotto lo pseudonimo di Edgardo Monroe.
Tanto don Sturzo che Alcide De Gasperi hanno esplicitamente abbracciato la prospettiva federalista: don Luigi Sturzo si iscriveva al Manifesto federalista europeo promosso da Altiero Spinelli e nel 1950 firmò la Petizione per un Patto federale predisposto dai federalisti; De Gasperi, nel 1948, sostenne tra l’altro l’organizzazione del Congresso di Roma dell’Union européenne des fédéralistes (UEF,) e accettò la Presidenza onoraria del Movimento europeo attivandosi per la costituzione del Consiglio italiano del Movimento europeo (CIME).
Ma, cosa ancora più significativa, dal 1948 De Gasperi conferisce al suo Governo una sempre più convinta e precisa linea federalistica, esprimendo perplessità per la timidezza dell’approccio funzionalista delle trattative sulla Comunità europea del carbone e dell’acciaio, guardando egli alla realizzazione di una vera e propria Federazione Europea, sostenendo la Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950 in quanto primo nucleo di una Comunità politica europea. Quindi, ben più convinta fu l’adesione al Piano Pleven, lanciato il 24 ottobre 1950 per la costituzione di una Comunità europea di difesa (CED), la quale presupponeva la realizzazione di una vera comunità politica. A questo fine De Gasperi si adoperò con passione per conferire una sorta di mandato costituente all’Assemblea consultiva della CECA ottenendo l’inserimento dell’articolo 38 nel Trattato sulla CED, facendo approvare dai Governi dei sei Paesi fondatori, con il sostegno di Adenauer e della Francia, il 10 settembre 1952, una risoluzione, cui aveva collaborato attivamente Taviani, che invitava l’Assemblea della CECA, a elaborare, in un periodo di sei mesi, un progetto di trattato istituente una Comunità politica europea, accolto tre giorni più tardi, dall’Assemblea della CECA che si metteva al lavoro, assumendo la denominazione di Assemblea ad hoc.
Il resto è storia nota, come si siano accompagnati, il declino di De Gasperi e il rallentamento della costruzione politica europea, per seguire l’approccio funzionale, ma è rimasto il ruolo propulsivo delle forze di ispirazione cristiana nella costruzione istituzionale europea, con il voto favorevole della DC e dei partiti centristi alla ratifica dei Trattati CEE ed Euratom, a fronte dell’astensione del PSI e del voto contrario del PCI, fino alla collaborazione tra tutte queste famiglia politiche italiane nel 1984, sul progetto di trattato per l’Unione Europea, cosiddetto “Progetto Spinelli” (il quale all’epoca era divenuto il Presidente della Commissione affari istituzionali del Parlamento europeo), che vide come relatore di punta per la sezione istituzionale il deputato europeo Ortensio Zecchino, del Gruppo DC-PPE, che poi sarebbe divenuto Ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica.
Anche senza citare i numerosi dirigenti democristiani della galassia degli organismi federalisti (tra cui il CIME, il Movimento Federalista Europeo – MFE e l’Associazione Italiana del Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa – AICCRE), possiamo quindi concludere che, almeno fino alla scomparsa di Altiero Spinelli, la tradizione dei cristiano popolari è stata non solo vicina ma protagonista della prospettiva federalista europea.